martedì 5 marzo 2013

Va in fumo un sogno



Il fuoco l’ha fatta tornare quel che era, le macerie sono infatti quelle tipiche di un capannone industriale bruciato. E un capannone era, ma dentro c’era un sogno che era nato e cresciuto grazie alla visione e soprattutto all’entusiasmo di un uomo fuori dal normale, Vittorio Silvestrini, aiutato dal sorriso e dal sudore di tanti amici, colleghi napoletani e no, che con orgoglio ti spiegavano, nei primi tempi quelli dell’edificazione e del riscatto di un’intera città, che lì c’era prima una delle zone industriali tragicamente deperite e più inquinanti del Paese. 

Ora c’erano loro, che costruivano con professionalità indiscussa una Città della Scienza, quasi una nuova Gerusalemme Celeste, fatta di mattoni, luci, tabelloni esperimenti che lì potevi fare, finalmente, quante volte volevi. E lavoravano giorno e notte, letteralmente nei primi tempi. E tu lì in un pomeriggio potevi finalmente capire perché il cielo sembra muoversi attorno a te se lo stai a guardare, perché sul ghiaccio si scivola e capire cosa succede quando una massa ne colpisce un’altra, perché tanto erano due palline legate allo spago e ti era tutto incredibilmente  famigliare. 

La prima volta che ci andai, parecchi anni fa per tenere un corso di aggiornamento, c’era il Ministro Ruberti, ministro alla Ricerca, in relax   da una riunione, a passeggio attraverso valanghe di bambini e ragazzi che incrociavano da tutte la parti i padiglioni, come stormi di rondini impazzite inseguiti da insegnanti, quasi martiri, urlanti ma felici di vedere finalmente i loro alunni e alunne interessati a qualcosa, in una realtà pur deteriorata come quella della periferia napoletana.  

Si è vero, si disse fra noi a commento, molti vengono qui per fare confusione e per un momento di libertà, ma quanto di questo resterà loro nella testa, certo qualcosa che tutti, proprio tutti, ricorderanno. Ed era proprio così, bastava guardare i ragazzini presi dalla frenesia del conoscere, provare tutti, proprio tutti, gli esperimenti disponibili.  Generazioni sono passate per quei grandi ambienti, hanno consumato le poltrone del planetario mentre gli “adulti” stavano in congresso poco più in là o cercavano la fortuna impiantando una “start up” nell’incubatore poi annesso alla Città della Scienza.


E’ bruciato un sogno, prima ancora di un’opera fondamentale per la città di Napoli e per noi tutti, costruita negli anni fra mille e mille difficoltà finanziarie ed economiche che aveva superato anche destreggiandosi bene anche nella foresta dei finanziamenti europei e con l’aiuto di tanti che hanno portato. Il sogno di una generazione che pensava, e pensa, che la Scienza sia importante per la riscossa culturale di un Paese.

Brucia la città della Scienza, brucia un simbolo e verrebbe da dire che è quasi una metafora della scienza italiana odierna, costretta a far emigrare oramai il fior fiore dei suoi più bravi figli e figlie.  Ma non lo è perché i sogni non bruciano, basta farli continuare. Chi sogna solo di notte perde molte cose che sanno quelli che sognano anche di giorno.

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